Se questa è Arte, di Fulvio Merlak
Se questa è Arte, di Fulvio Merlak
Il ruolo assunto dalla fotografia contemporanea nell’era della rivoluzione digitale, della multimedialità e del fenomeno di massa delle immagini, presenta molte contraddizioni e molti aspetti ambigui. Di conseguenza è pressoché impossibile trovare un’enunciazionericonosciuta e condivisa della fotografia contemporanea. “Esiste una relazione – si chiede Michel Poivert, professore di storia dell’arte contemporanea e della fotografia all’Università La Sorbona di Parigi (Tolone, 1965) – tra la fotografia e un altro campo che si possa ritenere così attuale da giustificare la contemporaneità della fotografia? La risposta, abbastanza ovvia, è che la fotografia contemporanea è, innanzitutto, contemporanea dell’arte; e che l’arte contemporanea è diventata il luogo di consacrazione sociale del fotografo.”
Orbene, nell’odierna caotica “furia delle immagini” (Joan Fontcuberta, 2016), riuscire a orientarsi rappresenta già un successo; e a tal proposito il libro di Charlotte Cotton La fotografia come arte contemporanea ci restituisce (sono parole della stessa autrice, stilate per l’Introduzione alla seconda edizione) “una sorta di indagine, il genere di panoramica che si può incontrare se si visitano delle esposizioni in diverse tipologie di luoghi, dagli spazi artistici indipendenti alle istituzioni pubbliche ai musei alle gallerie private nei principali centri artistici, New York, Berlino, Tokyo o Londra.”
La quarta edizione del libro (Londra 2020, tradotta in Italiano nel 2021 per i tipi di Giulio Einaudi editore) è suddivisa in nove capitoli. Il primo è intitolato Se questa è arte e affronta la disamina della testimonianza fotografica di azioni performative. Le performance art sono esibizioni artistiche che di solito vengono proposte a un pubblico. Sono esperienze interdisciplinari irripetibili, eventi che si svolgono in uno specifico luogo e per un determinato lasso temporale. Va da sé che si tratta di azioni effimere, contraddistinte da sembianze,significati e sensazioni che svaniscono alla conclusione della performance. È per questo che la fotografia assume, per gli atti performativi, una rilevanza essenziale. Spesso, ma non sempre, sono proprio i fotografi a creare gli eventi, iniziative che trovano nell’immagine fotografica la loro finalità, il loro punto d’arrivo, diventando opere d’arte. Il gesto artistico diventa fotografia e quindi, se la performance è, di fatto, il fondamentale evento artistico, spetta alla fotografia, unica rappresentazione perpetua dell’azione, il ruolo di opera d’arte postuma.
È evidente che la definizione di performance (“forma artistica – secondo Garzanti Linguistica – che comprende l’azione di una o più persone”) lascia aperti spazi enormi per l’individuazione del rapporto instaurato dagli artisti con l’immagine fotografica. Tanto per dire, non sarebbe pensabile non considerare performativa la pantomima di Jean-Gaspard Baptiste Duburau, nelle vesti di Pierrot, immortalato nel 1855 (ben prima degli anni Settanta del Novecento, e quindi prima della fotografia contemporanea) da Gaspard-Felix Tournachon detto Nadar. Nondimeno, nell’arte contemporanea, la fotografia non è e non può essere la semplice documentazione della performance; lo scatto fotografico diventa piuttosto una rappresentazione, un’interpretazione, una lettura della pratica performativa, o, come direbbero i Francesi, un’image-acte.
E per comprendere fino in fondo cosa s’intende per atto fotografico, la Cotton propone l’esempio dell’opera di Zhang Huan, un artista concettuale e performer cinese, nato ad Anyang nel 1965. Nella foto To Raise the Water Level in a Fishpond, 1997 (Alzare il livello dell’acqua in un laghetto, 1997) un gruppo di una quarantina di dissidenti pechinesi affiora, a petto nudo, dalle acque di uno stagno, a dimostrazione di come un’azione unitaria sia in grado di alzare il livello dell’acqua e, di conseguenza, possa anche sfidare un regime politico oppressivo.
Altrettanto significativa è la dimostrazione operata dal canadese Kenneth Robert Lum, un artista di origini cinesi nato nel 1956 in Canada, a Vancouver. Ingegnose e argute, le sue fotografie sondano le ordinarie questioni attinenti all’esistenza umana, e nel contempo testimoniano l’importanza acquisita da un testo esplicativo del messaggio prospettato dall’autore. È il caso di una sua immagine realizzata nel 1993, Don’t be silly / you’re not ugly / You’re not ugly / You’re not ugly at all / You’re being silly / You’re just being silly / You’re not / You’re not ugly at all (Non essere sciocca / non sei brutta / Non sei brutta / Non sei affatto brutta / Sei sciocca / Sei solo sciocca / Non lo sei / Non sei affatto brutta).
Ugualmente sintomatica è la serie di performance titolata “White Shoes“ di Nona Faustine (New York, 1977). Si tratta di una raccolta di autoritratti realizzati (fra il 2013 e il 2016) a New York e dintorni, nei luoghi che, per oltre duecento anni, sono stati teatro delle vergognoseaste degli schiavi. La Faustine, donna di colore di origini afroamericane, vestita solamente con un paio di scarpe bianche con il tacco (chiaro riferimento al patriarcato dei bianchi) si è autoritratta in varie pose, sempre dignitose ma altresì provocatorie, per rendere omaggio alle donne e agli uomini che hanno contribuito in modo fondamentale a costruire un Paese che oggi sembra soffrire di amnesia storica.
Sono solo tre esempi, ma la Cotton, nel primo capitolo del suo libro, ne propone ben ventisei, a conferma della vivacità dell’espressione fotografica contemporanea.
Fulvio MERLAK, Presidente d’Onore della FIAF