9. Edward Steichen, di Cinzia Busi Thompson
9. Edward Steichen, di Cinzia Busi Thompson
Steichen (1879-1973), assieme a Stieglitz, può essere considerato il padre della fotografia come forma di arte e mezzo di interpretazione ed espressione della realtà interiore ed esteriore e non solo in grado di documentare i fatti e l’ambiente che ci circondano. Edward Steichen (nato Eduard Jean Steichen) nasce nel Lussemburgo; nel 1881, assieme alla sua famiglia, si trasferisce negli USA, prima nel Michigan, poi nel Milwaukee. La madre lo incoraggia ad intraprendere studi artistici ed infatti nel 1894 comincia, presso l’American Fine Art Company di Milwaukee, un apprendistato quadriennale in litografia. L’anno seguente comincia a fotografare pur non abbandonando la pittura. Nel 1899 le sue fotografie vengono esposte al Secondo Salon di Filadelfia. Clarence H. White, fotografo membro della Linked Ring ed amico di Stieglitz invita quest’ultimo ad acquistare alcune stampe di Steichen. Nel frattempo Steichen va a Parigi dove fa amicizia con lo scultore Rodin al quale scatta numerose fotografie di chiara tendenza Pittorealista. Fra le più celebri vi è quella, composta da due negativi e stampata con il processo alla gomma bicromata, dove in primo piano appare la silhouette dello scultore di fronte al busto di V. Hugo da lui eseguito. Alle sue spalle si trova la statua del Pensatore. L’immagine è pervasa da un senso di sottile mistero che aleggia nella greve aria dell’atelier. Una strana alchimia ha fatto fondere il soggetto e gli oggetti in un’unica esistenza. Altrettanto famosa è la serie di nudi nei quali il corpo bianco della modella “brilla” sul fondale scuro, creando un contrasto molto forte. Numerose sono le sue mostre in Europa, ma non sempre le sue opere godono del favore della critica anche perché, a causa delle manipolazioni in fase di stampa, esse non riescono mai ad acquisire un’identità definita, restando sempre nel limbo della fotografia-pittura. Il critico d’arte Hartmann nel 1904 pubblica un articolo nel quale afferma che il matrimonio fra pittura e fotografia è incompatibile e crea solo confusione. Curiosa la parodia del soliloquio dell’Amleto Sheakspeariano con la quale esprime la sua preoccupazione: “Dipingere o fotografare. / Questo è il dilemma. / Se è più vantaggioso colorare / incidenti fotografici e chiamarli pitture / o schiacciare la peretta contro un mare di critici / ed ucciderli fotografandoli?” Nel 1901 Steichen viene invitato a far parte della Linked Ring. Al suo rientro a New York apre uno studio fotografico di ritratti al 291 di Fifth Avenue e rinnova la sua amicizia e collaborazione con Stieglitz. Nel 1902 è fra i fondatori, assieme a Stieglitz, della Photo Secession e disegna la copertina della rivista Camera Works che dedica il suo secondo numero proprio all’opera di Steichen.. Nel 1905, avendo liberato il suo studio fotografico, suggerisce a Stieglitz di affittarlo per farne la sede della Photo Secession ed infatti diventerà la famosa “291”. Nel 1904 Steichen comincia la sperimentazione nel campo della fotografia a colori attraverso il processo Autochrome inventato in Francia, nello stesso anno, dai fratelli Lumière. Nel 1906 lo ritroviamo a Parigi dove, per conto di Stieglitz, seleziona artisti da esporre alla “291” Il XX secolo ha portato grossi mutamenti in tutti campi: nell’architettura, dove le strutture metalliche dei grattacieli si distaccano completamente dalle strutture lignee dei secoli precedenti, e nella pittura con la nascita dell’astrattismo. Anche la fotografia non rimane immune da questi cambiamenti e perde completamente ogni richiamo ed ogni eredità pittorica. Nel 1911 Steichen scatta la sua prima fotografia di moda, pur dedicando la maggior parte del suo tempo alla pittura. Durante la Prima Guerra Mondiale, in qualità di comandante della divisione fotografica dell’Army Expeditionary Forces, apprende tutta la tecnica di precisione della fotografia aerea. Nel 1922 abbandona definitivamente la pittura poiché “come pittore stavo producendo una carta da parati di alta qualità con attorno una cornice dorata. … Portammo tutti i dipinti nel giardino e facemmo un di Cinzia Busi Thompson DAC Autoritratto, 1929 Foto di Edward Steichen 41 falò del tutto … Era una conferma della mia fede nella fotografia e l’aprirsi di un nuovo mondo.” Comincia a sperimentare per capire meglio le tecniche, i processi ed i materiali. “La conoscenza che avevo acquisito divenne qualcosa che circolava nel mio sangue. Non dovevo fermarmi e pensare. Io sapevo cosa potevo aspettarmi dai materiali sensibili e dagli obiettivi”.
Nel 1923, oltre a lavorare per l’agenzia pubblicitaria J. Walther Thompson, è a capo della sezione fotografica della casa editrice Condé Nast. Proprio in questi anni produce una serie di memorabili ritratti di celebrità che vengono pubblicati sulle riviste Vogue e Vanity Fair. Sono ritratti di star come l’uomo comune le immagina, cioè rispondono a determinati stereotipi. Essi recano ancora tracce di una moralità vittoriana, che rende i soggetti quasi asessuati. A differenza di Nadar, Steichen non crea un rapporto di simbiosi con il soggetto, ma grazie alla tecnica e ad un sapiente uso delle luci che creano drammatici chiaroscuri, egli riesce a coglierne il carattere e la psicologia. “Ho quasi invariabilmente trovato che il soggetto si comporta come uno specchio della mia opinione, cosicché il primo passo era caricare al massimo il mio interesse e la mia energia … Se tutto si muove rapidamente e con entusiasmo, il modello o la modella prende coraggio nel credere che ciò che sta facendo sia fatto bene, e le cose iniziano ad accadere. Il modello ed il fotografo scattano assieme. … In altre parole, può contare di ottenere molto per nulla, ma ciò non va molto lontano a meno che il fotografo non sia attento, pronto ed in grado di trarre il massimo vantaggio da tale opportunità.” L’attività intrapresa da Steichen nel settore della fotografia commerciale logora la sua amicizia con Stieglitz che non condivide affatto questa scelta in quanto non ritiene che questo genere di fotografia possa assurgere a livello di arte. Ma soprattutto c’è il fatto che Steichen è un uomo estremamente pragmatico che fa le sue scelte artistiche in base al ritorno che egli può avere in termini di successo. Sono gli anni in cui nascono riviste come Life (1936), e Look (1937- 1972) che, attraverso le immagini fotografiche, rendono accessibili alle masse i principali eventi politici e sociali. Contemporaneamente i fotografi della Farm Security Administration viaggiano attraverso gli USA fotografando gli effetti della Depressione. Le immagini “fotogiornalistiche”, nella loro oggettività, assumono connotati di artisticità tali da rendere inutile ogni ulteriore classificazione. Nel 1938 Steichen si ritira dalla fotografia commerciale per divenire, nel 1945, direttore dell’Istituto Fotografico Navale Statunitense con compiti relativi alla ripresa delle immagini di “combattimenti”. Dal 1947 al 1962 è direttore del Dipartimento Fotografico del Museo di Arte Moderna (MOMA) di New York. In questi anni non fotografa, ma organizza più di 50 mostre fra cui la più famosa al mondo: “The Family of Man” (La Famiglia dell’Uomo) del 1955. Questa mostra, impregnata di buonismo positivista, tende a rendere i singoli parte integrante di una massa nella quale ognuno è in grado di trovare una realtà che lo accomuna agli altri: “il bisogno di amore, di cibo, di abiti, di lavoro, di parola, di spiritualità, di sonno, di gioco, di danza, di gioia.” Le immagini, allestite in maniera coreografica, sono giustapposte a citazioni tratte dalla Bibbia, da classici latini ed orientali, uomini illustri, tribù indiane ed anche da Shakespeare. “La mostra … dimostra che l’arte della fotografia è un processo dinamico che consiste nel dare forma alle idee e di spiegare l’uomo all’uomo”.