3. La Foto ed il Movimento: Muybridge-Marey-Bragaglia, di Cinzia Busi Thompson
3. La foto ed il movimento: Muybridge, Marey e Bragaglia, di Cinzia Busi Thompson
Nel 1861 l’inglese William England inventa un dispositivo otturatore che, collocato in prossimità del piano focale, permette di dosare esattamente la quantità di luce che raggiunge il supporto sensibile e quindi la sua corretta esposizione. Nel 1871 Richard Leach Maddox sostituisce al collodio la gelatina (sostanza fatta di pelle ed ossa di animali). L’emulsione delle lastre è composta da gelatina, acido nitrico e cloridrico, bromuro di cadmio e nitrato d’argento. Essa viene stesa sul vetro, usata secca e sviluppata con acido pirogallico e nitrato di argento. I negativi così ottenuti sono molto più sensibili rispetto a quelli precedentemente usati e quindi permettono una sensibile riduzione del tempo di posa. Se è vero che la fotografia è un prodotto del tempo, è anche vero che essa produce tempo in quanto restituisce la sua durata. Questo diviene un punto focale di ricerche, stravolgendo la definizione che fino allora le era stata assegnata, e conseguentemente l’iconografia ufficiale sia pittorica che fotografica. Infatti la tecnica fotografica è perfezionata al punto in cui è possibile registrare il movimento oltre al limite fisico dell’occhio, ovvero si può “vedere” ciò che l’occhio non può. Questa ricerca di “congelare” il movimento intraprende due differenti strade: la prima è quella riguardante l’istantanea, ovvero la ripresa di scene di vita quotidiana “… Città pittoresche che paiono, a causa dell’aspetto deserto delle loro strade e piazze, colpite dalla peste e che sembreranno vive con la folla affaccendata della loro popolazione eterogenea”.
La seconda, quella che andiamo ad esaminare in maniera più approfondita, riguarda la registrazione degli elementi che compongono il movimento ed è focalizzata sul processo tecnologico delle immagini, che rappresenta il punto di partenza per la nascita del cinema.
Gli inizi hanno il sapore della leggenda (a volte discordante, a seconda degli autori). L’ex governatore dello stato della California, Leland Stanford, scommette con un amico che un cavallo in una fase del galoppo (secondo quanto riprodotto dalla iconografia ufficiale pittorica) ha tutti e quattro gli arti sollevati da terra ed estesi verso l’esterno (come nei cavalli a dondolo). Per provare ciò, nel 1869, assume il fotografo inglese Eadweard Muybridge (Edward James Muggeridge)(1830-1904), allora noto per le sue immagini della Yosemite Valley. I primi esperimenti di ripresa, eseguiti con un unico apparecchio fotografico e lastre al collodio umido, non danno i risultati voluti, in quanto egli ottiene solo un’ombra vaga. Nel 1874 Muybridge viene processato ed assolto per l’omicidio dell’amante della moglie, ma deve lasciare il paese ed interrompere gli esperimenti. Nel 1877, ritornato in California, ricomincia, sempre per Leland, le sue ricerche, questa volta attrezzando la pista, lungo la quale corre il cavallo Occident, di dodici apparecchi il cui otturatore viene azionato dal filo che il cavallo spezza durante la sua corsa (la tecnica che verrà poi usata per il foto-finish). Il tempo di esposizione impiegato è di 1/1000 di secondo, usando lastre alla gelatina. Muybridge riesce ad ottenere una serie d’immagini che mostrano le varie fasi del movimento del cavallo al galoppo nelle quali si vede che, nel momento in cui le quattro zampe sono sollevate da terra, esse non sono rivolte all’esterno bensì “rannicchiate” sotto la pancia. Sulla base del successo ottenuto, Muybridge comincia un giro di conferenze che lo porta in giro per l’Europa, dove nel 1881, incontra Marey, e l’America. Per dare il senso del movimento, le sue immagini vengono utilizzate con un Zoetropio (una specie di tamburo con delle feritoie sui lati montato orizzontalmente su un perno; inserendo le immagini nel tamburo e facendolo girare, le si possono vedere, attraverso le feritoie, come un continuo ovimento).
Muybridge perfeziona, per i suoi scopi, questa apparecchiatura chiamandola Zoogiroscopio o Zoopraxiscopio e la usa per proiettare le sue immagini su uno schermo. Nel 1883 l’Università di Filadelfia offre a Muybridge un contratto per il prosieguo delle sue ricerche. Tra il 1884 ed il 1885 scatta 30.000 negativi con 3 apparecchiature, azionate da “timer”, che riprendono i soggetti da differenti angolature (frontale, posteriore e laterale). Nasce Animal Locomotion, un’estesa raccolta di 781 lastre che mostrano animali, ma soprattutto persone impegnate in ogni tipo di attività come camminare, correre, salire scale e saltare; tutti i soggetti sono ripresi su uno sfondo a griglia. Il risultato è un atlante ad uso degli artisti che mostri, con correttezza anatomica, la scansione del movimento.
Le reazioni da parte degli artisti sono controverse in quanto, se da un lato le foto di Muybridge evidenziano gli errori che sono stati compiuti fino allora (in alcuni casi i pittori accusano le immagini di falsità), dall’altro esse sono un inestimabile aiuto per “sezionare” l’azione, stabilizzando la transizione. Un’altra critica avanzata è che, nonostante l’oggetto sia fotografato in movimento, esso appare statico, quindi privo del movimento stesso. Anche i fotografi contemporanei, che potrebbero congelare il movimento, a volte allungano il tempo di posa per ottenere un effetto “indistinto” che dia un’impressione più convincente del movimento. “La grande scoperta di un occhio che afferra ed una lastra che registra i movimenti più evanescenti, ci ha messo in grado di comprendere ciò che è stato prima celato, e se manchiamo di avvalerci degli insegnamenti di questo professore superumano, sarà una confessione di ostinata perversità e un’ammissione di ostinata stupida ignoranza” (dal California Spirit of the Times dell’8 Maggio 1880). Si tratta di polemiche sterili, in quanto né Muybridge né Marey intendono fare immagini artistiche, bensì aiutare l’artista a liberarsi di certe convenzioni errate. Scrive Muybridge: “Se nel corso della nostra infanzia ci è stato impresso che un certo simbolo arbitrario indica un fatto esistente; se questa stessa associazione di emblema e realtà è reiterata alle scuole medie, ripetuta al liceo e definita corretta all’università, simbolo e fatto (o fatto supposto) diventano così intimamente combinate che è estremamente difficile disassociarle, anche quando la ragione e l’osservazione personale ci insegnano che esse non hanno una vera relazione….”. Sul versante più scientifico troviamo il francese Etienne Jules Marey (1830-1904) che è stimolato alla ricerca fotografica dal lavoro di Muybridge, ma opera con scopi diametralmente opposti. Nel 1855 comincia la sua carriera come assistente chirurgo a Parigi dove si laurea in medicina nel 1859 ed ottiene la cattedra di Storia Naturale al Collège di Francia, specializzandosi in fisiologia umana ed animale nei cui campi comincia a sperimentare. Si differenzia da Muybridge per la tecnica che usa; infatti egli sovrimpressiona le varie fasi del movimento su un’unica lastra (cronofotografia) dove il soggetto vestito di nero, illuminato da regolari lampi di luce, si muove su un fondale nero, rivelando la continuità del movimento grazie a lamine e bottoni bianchi applicati alle parti mobili del corpo umano. Il risultato è una serie di segni astratti che diventano un nuovo linguaggio del movimento e che sarà ispiratore di molti pittori a venire (ricordiamo “Il nudo che discende le scale” di Marcel Duchamp) fino ai disegnatori fumettistici contemporanei.
Nel 1882 Marey costruisce un fucile fotografico per cogliere i movimenti in tutte le posizioni e nel 1894 inventa una “cinepresa” che permettere la ripresa di 700 immagini al secondo. Anche Marey insiste sulla nuova relazione fra arte e scienza: “Date all’artista una serie di figure ove l’esattezza dell’attitudine di un cavallo in movimento sia combinata con l’accuratezza della forma, e voi avrete fatto un grande servizio. Alcuni maestri hanno già istruito il pubblico, il quale non accetterà più le convenzioni ed i capricci.”
Partendo da una tecnica simile a quella di Marey, in Italia, verso il 1911 opera Anton Giulio Bragaglia (1890-1969), personaggio estremamente controverso, che comincia le prime esperienze di fotodinamiche nell’ambito del poliedrico movimento Futurista (a cui aderiscono pittori, scultori, poeti e scrittori) ed il cui scopo principale è l’esaltazione della velocità e quindi della dinamica. Nega decisamente di essere un fotografo, anzi dichiara di aver “liberato la fotografia dalla sconcezza dell’istantanea.” “L’istantanea ha arrestato in posizioni assurde il moto che si trovava in quelle per puro passaggio” e propone una serie d’immagini dove viene colta la traiettoria “che possiede la forza di ricordare la continuità del gesto nello spazio.”; si tratta quindi, secondo lui, della sintesi del movimento e non alla sua analisi. Le sue fotodinamiche sono appunto usate per la realizzazione di filmati d’avanguardia. Questi sono solo alcuni fra i tanti autori che si avvarranno del “movimento” come mezzo per ricercare nuove forme espressive che daranno il via a nuovi movimenti artistici, soprattutto nel campo della pittura.