10. Il realismo fotografico: Paul Strand, di Cinzia Busi Thompson
10. Il realismo fotografico: Paul Strand, di Cinzia Busi Thompson
Durante il periodo che intercorre tra le due guerre mondiali negli Stati Uniti si percepisce – grazie anche alle basi che getta Stieglitz – un fermento culturale teso al cambiamento dell’estetica fotografica; che senza dubbio trova nel “mito” della macchina un supporto. Il fenomeno non è certamente marcato come in Europa dove questi movimenti foto-artistici hanno chiare connotazioni politiche; ciò nonostante i fotografi americani avvertono la necessità di una fotografia non mediata e più vicino possibile alla realtà. Scrive Alfred Stieglitz nell’ultimo numero di Camera Work dedicato a Paul Strand: “Il suo lavoro affonda le radici nella migliore tradizione fotografica. La sua visione è potenziale. Il suo lavoro è puro, è diretto. Esso non si affida a trucchi nel processo. In qualunque cosa egli faccia c’è intelligenza applicata. Nella storia della fotografia ci sono molto pochi fotografi che, dal punto di vista dell’espressione, abbiano fatto molto lavoro d’importanza. E con importanza si intende lavoro che abbia qualche qualità relativamente duratura, quell’elemento che dà a tutta l’arte il suo significato reale. Il lavoro è brutalmente diretto, privo di qualsiasi inganno, privo di ogni manipolazione e di qualsiasi “ismo”, privo di ogni tentativo di mistificare un pubblico ignorante…” Da Stieglitz, Paul Strand (1890-1976) eredita soprattutto la consapevolezza del mezzo fotografico come strumento per una nuova visione completamente avulsa da problematiche artistiche che avevano generato conflittualità tra arte e fotografia, la stessa conflittualità che aveva coinvolto i suoi predecessori: egli dunque incarna tutti gli ideali di oggettività che Stieglitz aveva perseguito per tutta la vita. É anche il primo fotografo americano per antonomasia: nelle sue opere “l’America viene espressa in termini di America che nasce da una sperimentazione personale in termini di soggetti o contenuti, partendo da idee prive del concetto di cosa è arte e cosa non lo è”. Paul Strand nasce a New York da una famiglia di origine boema. Entra in possesso della sua prima macchina fotografica all’età di 12 anni e a 17 anni decide di diventare fotografo. Studia alla Ethical Culture School con Lewis Hine che porta i suoi studenti alla “291”, dove Strand conosce Stieglitz e di cui diverrà amico. Le lezioni di Hine e la frequentazione di gruppi della sinistra newyorchese sono fondamentali nella sua evoluzione artistica. La New York Ethical Culture Society si fondava su tre principi fondamentali: la purezza sessuale, la donazione dell’eccesso di reddito per il miglioramento della classe lavoratrice ed il continuo sviluppo intellettuale. Anche se Strand, in un secondo momento, rinnegherà la sua affiliazione a questa società, le sue opere e la sua biografia evidenziano, al contrario, come questi principi resteranno sempre alla base del suo lavoro dove traspare sempre un ascetismo estetico. Frequentando la “291” rimase colpito dalla pittura astratta e “Cercavo di applicare alla fotografia i principi astratti di quegli artisti che allora mi apparivano oltremodo strani. Una volta compresi gli elementi estetici dell’immagine, cercavo di trasferire quella conoscenza alla realtà oggettiva, come in The White Fence e in The Viaduct e in altre fotografie di New York. Né sono più ritornato all’astrazione pura, dal momento che in sé essa non aveva alcun significato per me. E del resto la messe di soggetti attorno a me m’appariva inesauribile. Fu allora che iniziai a fare gli esperimenti con i primi piani .
Nascono allora le fotografie come “Pears and Bowls” e “Porch Shadows”, che evidenziano quelle forme generalmente “nascoste“ nel mondo attorno a noi e riconoscibili solo grazie ad una particolare sensibilità, frutto di un’accurata osservazione, ed all’uso appunto di primi piani. Sono immagini che rompono vecchi schemi e creano nuovi territori di esplorazione sia in termini di soggetti che della loro rappresentazione. Ciò che rende notevoli le sue immagini è l’oggettività che le permea e che risulta ben radicata nel suo “vedere”. Ne sono un esempio i ritratti che scatta lungo le strade di New York ad insaputa dei soggetti. di Cinzia Busi Thompson DAC Il realismo fotografico: Paul Strand Astrazione – Ombre di una veranda, 1916 Foto di Paul Strand 33 “Blind Woman in New York” del 1915 ritrae una donna a mezzo busto, vestita di nero ed appesa al collo porta una targhetta bianca con la scritta “Blind” (Cieca) è una fotografia che non intende scatenare emozioni nello spettatore e neppure documentare; solamente presentare un aspetto del quotidiano in maniera imparziale senza lasciarsi influenzare da preferenze od inclinazioni personali. Inoltre le persone da lui ritratte sono viste sempre nel loro aspetto più nobile e dignitoso. “Guardate alle cose attorno a voi, nell’immediato mondo attorno a voi. Se siete vivi, se vi interessate alla fotografia quanto basta, e se sapete come usarla, allora vorrete fotografare il significato. Se lasciate che l’altrui visione si frapponga fra il mondo e voi, voi otterrete quella cosa estremamente comune e priva di valore che è una fotografia pittorealista”. Nel 1912 si dedica alla fotografia commerciale. Dal 1918 al 1919 lo ritroviamo tecnico radiografico nell’Army Medical Corps. Nel 1921 produce, con Charles Sheeler, il film “Manhattan”. Nel 1922, pur continuando la sua ricerca fotografica, inizia la sua attività di cameraman che proseguirà fino al 1932. Dal 1932 al 1934 è in Messico come Responsabile della Fotografia e Cinematografia del Dipartimento delle Belle Arti. Nel 1935 compie un breve viaggio a Mosca. Al ritorno produce, con R. Steiner e L. Hurwitz, il film “The Plow that Broke the Plains”. Dal 1937 al 1942 è Presidente della Frontier Film, ed in questo periodo monta i film “Heart of Spain” e “Native Land”, quest’ultimo sui diritti civili. Nel 1945 Strand and Nancy Newhall cominciano la collaborazione che porterà alla pubblicazione, nel 1950, del libro “Time in New England”. Si tratta di un libro “sperimentale” nel quale le immagini di Strand vengono abbinate alle parole per dare voce ad un passato di oltre 3 secoli attraverso le testimonianze e la documentazione raccolta dalla Newhall. Nel 1948 va in Francia -che diventerà la sua seconda patria- e nel 1952 esce il libro “La France de Profil”. Nel 1954 è la volta di “Un Paese”, con testo dello sceneggiatore italiano Cesare Zavattini. Strand aveva sempre desiderato fotografare la gente di un’intera città quando Zavattini, suo collaboratore, gli suggerisce Luzzara, il suo paese natale e luogo dove lui conosce tutti. “Una cosa è fotografare gente, altra cosa è fare che gli altri (i lettori ) si interessino ai soggetti, rivelando il cuore della loro umanità”. Strand può essere definito senz’altro un’artista a tutto tondo, non solo per quanto concerne la sua ricerca estetica e tematica, ma anche per la sua padronanza delle tecniche di camera oscura, per l’uso di una vastissima gamma di grigi, quasi unica nel XX secolo. “Il problema del fotografo quindi è vedere chiaramente i limiti e, allo stesso tempo, le qualità potenziali del suo mezzo, poiché è qui che l’onestà, non meno che l’intensità della visione, è il prerequisito di un’espressione vitale. Questo significa un rispetto vero per gli oggetti che si trovano di fronte a lui, espresso in termini di chiaroscuro (colore e fotografia avendo niente in comune) attraverso una gamma di valori tonali quasi infiniti che superano le capacità della mano umana. La realizzazione più completa di ciò si ottiene senza trucchi di processo o manipolazione, attraverso l’uso di metodi fotografici diretti. È nell’organizzazione di questa oggettività che il punto di vista del fotografo della Vita subentra e dove una concezione formale nata dall’emozione, dall’intelletto, o da entrambi, è come inevitabilmente necessaria per lui, prima che la foto venga scattata, così come il pittore prima che appoggi il pennello sulla tela”.